Il Kaimyo (戒名)

Il Kaimyō è il nome buddhista assegnato ad un laico o ad un monaco di tradizione buddhista giapponese in occasione di particolari cerimonie religiose.
Uso mutuato dalla tradizione buddhista è presente in tutte le differenti correnti pur se con modalità leggermente differenti. La traduzione del termine significa nome dei precetti, poiché sia nell’ordinazione monastica (shukke) che in quella laica, l’ordinando si impegna a rispettare precise regole di condotta morale.
Il Kaimyō è il sigillo del passaggio da un modello di vita ad un altro. Altro ispirato dalla luce del Dharma: appare quindi giustificato l’atteggiamento di quanti in occidente, in barba a tendenze esotiche ma cogliendone il profondo significato, apprezzino essere chiamati con tale nome.
Il Kaimyō è assegnato dall’officiante la cerimonia, generalmente il Maestro dell’ordinando; comunemente il nome viene da questi scelto cercando di inserirci aspetti della vita o del carattere di chi lo riceverà.
Parte del nome, in particolare per i monaci, può includere un kanji già presente nel nome del Maestro ma questa regola è spesso disattesa in occidente.
Naturalmente esso è composto esclusivamente con i kanji, quindi ricalcherà sempre la lettura giapponese ma, sarà possibile darne una lettura in cinese.
Alcuni kanji usati sono a volte piuttosto antichi e poche persone al giorno d’oggi sono grado di leggerli.
Capita frequentemente che una persona possa avere più nomi religiosi; quello ricevuto durante la cerimonia di ordinazione a Bodhisattva, quello ricevuto durante quella monastica e quello ricevuto in occasione del ricevimento del “sigillo” ovvero del riconoscimento formale della qualifica magistrale che lo inserisce in uno specifico lignaggio Buddhista.
In questi casi il Kaimyō è sempre riportato su un documento chiamato Ketsumyaku (linea di sangue) in cui sono riportati i nomi di parte o di tutti gli antenati spirituali.
Non dobbiamo dimenticare il frequentissimo e discusso uso del Kaimyō postumo, assegnato in Giappone ai laici e ai monaci; nel primo caso, si dice serva per evitare al defunto di “tornare” se chiamato col nome che aveva da vivo, nel secondo caso si tratta decisamente di un nome d’onore, che a volte ricorda le virtù del defunto; esso viene scritto su apposite tavolette, generalmente di legno poi posate sugli altari dei templi o su quelli domestici (Butsudan).
In Giappone sentiremo pronunciare secondo l’uso locale prima il cognome e poi il Kaimyō.
In occidente generalmente si usa inserire il proprio Kaimyō fra il nome e il cognome secolari, più raramente prima del nome e del cognome o ancora al posto del nome.
Rivolgendosi ad un monaco occidentale esso può essere preceduto dal trattamento di Reverendo o, alla giapponese, seguito dal suffisso “san” o più formalmente “sama”.
Ci potrà infine capitare di sentire alcuni monaci buddisti occidentali adottare la forma utilizzata in giappone per rivolgersi ad altri religiosi con cui hanno confidenza, in questo caso vedremo l’ultimo carattere (kanji) del Kaimyō seguito dal suffisso “san”.
Rimane comunque impossibile a causa della grande diffusione in occidente del buddismo giapponese e in particolare Zen, elencare le diverse forme a cui si è addivenuti, sarà sempre opportuno conoscere le modalità gradite alla persona con cui ci si relaziona.

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