Quando si perde un atleta

Fino a pochi anni fa avevo solo sentito parlare di questo evento, era una cosa astratta, un concetto, qualcosa di vagamente sgradevole ma lontano, di cui però, fino ad un certo momento, non potevo comprendere la portata emotiva.
Innanzitutto cosa vuol dire perdere un atleta?
I ragazzi vanno e vengono, i bambini ancora di più, ho osservato che è difficilissimo tenere per molti anni i bimbi che iniziano troppo presto, per quanto ci si sforzi è sempre difficile offrirgli motivazioni e obiettivi.
Dai 7/8 anni d’età la cosa diventa più facile, mediamente quelli che iniziano o che resistono fino a quell’età sono quelli che poi diventeranno degli sportivi.
Poi ci sono gli adolescenti, le loro conflittualità, e il desiderio di conoscere altro. Insomma, il drop-out sportivo, è fenomeno variegato e più diffuso della continuità.
Ma no, non sono questi gli atleti che si perdono, questi sono bambini e ragazzi in cerca della loro identità, anche sportiva.
Quelli che si perdono sono gli atleti che “cambiano palestra”. Anche questo è un fenomeno diffusissimo e direi…normale, ma purtroppo quasi mai “sano”.
Quanti ne ho visti, incrociandoli sul tatami o nel parterre, di miei (ma non solo) ex allievi, abbassare lo sguardo, vergognarsi, addirittura chiedere esplicitamente al proprio ex insegnante di non rivolgergli la parola per il troppo imbarazzo, per la troppa sofferenza.
Tra l’altro mi piacerebbe si capisse che gli insegnanti hanno una loro sensibilità, non è che si trovino proprio a loro agio in queste situazioni, io almeno non mi ci trovo.
Poi certo, ci sono gradazioni di emozioni, dipende dal rapporto che si aveva, ma mediamente si tratta sempre di ragazzini e ragazzine che uno ha cresciuto per diversi anni, a cui magari ha dedicato un po’ più di tempo del necessario, giovani atleti con genitori entusiasti e partecipi, coi quali si è speso tanto (ma tanto) tempo a progettare, cercare strategie, si è intervenuti per i problemi scolastici con la propria autorevolezza, ma anche su quelli affettivi con consigli e appoggio. Si è inciso profondamente sulla loro personalità, quasi sempre in senso positivo.
Accenno appena, per carità, alle tematiche inerenti alla generosità spesso espressa dagli insegnanti.
E fanno presto a parlare i sostenitori del professionismo sportivo, come se tutti potessero permettersi il nutrizionista, lo psicologo dello sport, il personal trainer…in molte discipline, nel Judo in particolare, l’insegnante, almeno il buon insegnante, deve essere versatile, trovare risorse e soluzioni, appoggiandosi soprattutto al potente valore didattico della disciplina.
Poi può sbagliare…però ho visto anche tanti professionisti specifici fare fesserie. Ma questo è un altro discorso.
Insomma, a parte rari casi, questi ragazzi, ma spesso pure bimbi, vengono normalmente eradicati da quelle che io chiamo “paturnie genitoriali” di vario genere che raramente hanno qualcosa di sostanziale, e spesso anzi (nei casi più gravi), hanno a che fare con ambizioni in fin dei conti risibili.
Ovvio che qualcuno si identifichi in questo ragionamento, intendo qualcuno dei tre attori, l’insegnante, l’allievo, il genitore. Ovvio pure che quest’ultimo abbia da eccepire, possa, a seconda delle proprie capacità dialettiche, argomentare, ragionare…più spesso lo troveremo in disparte nel nuovo ambiente che ha cercato per il proprio pargolo, inadeguato, alla ricerca di un posto che non ha più, di un nuovo ruolo o a giustificare la propria scelta, nel sacrosanto diritto di fare quel che si vuole della vita dei propri figli…anche quando ciò non è propriamente per il loro bene.
Poi ci sono gli atleti, con la loro magnifica capacità di rigenerarsi, perché giovani fra i giovani, capaci pure di ricostruire dopo i primi imbarazzi, il primo sbandamento, un rapporto diverso col loro vecchio insegnante (ma neanche sempre eh!), raramente realizzati (sportivamente parlando) secondo quelle che erano le aspettative.
Restano infine gli insegnanti, che hanno tanta rabbia e frustrazione, che non accettano emotivamente il distacco -perché, vale la pena ricordarlo, anche dietro il miglior professionista c’è una persona- uomini e donne che legittimamente si rodono per la perdita affettiva e per il lavoro fatto oramai in mani altrui; che proprio non riescono a comprendere le motivazioni di certe azioni ma che sanno come va il gioco…e che, nonostante ciò, continuano a giocare.
Consapevoli che altri faranno nel tempo questo tipo di scelta, altri magari stanno pensando di farla (magari mentre leggono), secondo me è importante chiedersi profondamente, seriamente: a che scopo?

All’insegnante probo il compito comunque e di ricominciare e ricominciare ancora!
Non è sempre bello l’ambiente sportivo…pieno di contraddizioni spesso generate da sciocche ambizioni.
Il mio maestro me lo diceva: “Attento Alfredo, come ti giri qualcuno avrà qualcosa da ridire su di te” ma ecco: faide che durano anni, gente che ti volta le spalle dopo che tanto hai offerto loro…o ai loro figli, e slealtà e scorrettezze di varia entità, proprio non sono mai riuscito a metterle in relazione con il sistema valoriale implicito nello sport…e nel Judo in particolare.
Ineffabile è un aggettivo che ho sempre amato!
Ecco, è ineffabile il piacere di ricominciare ogni volta, di offrire il proprio lavoro e il proprio contributo alla formazione, di aiutare piccoli…ma anche grandi a crescere, di dare il proprio contributo all’ acquisizione di competenze e strumenti.
Tutto con la consapevolezza che le cose brutte capitano, sono capitate e ricapiteranno, che la gratitudine è virtù rara (spesso superata da ipocrita giustificazionismo).
Fare l’insegnante è in genere mestiere per solitari, per gente col pelo sullo stomaco.
Ma fino a che si avrà la capacità di ricominciare…si starà sempre un passo avanti!

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